Imbarazzo alla Casa Bianca

Imbarazzo alla Casa Bianca durante l’incontro coi Patriarchi Orientali. Obama: “Sappiamo che Assad ha difeso i Cristiani!”

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Come abbiamo già detto in un articolo precedente i Patriarchi Cristiani d’Oriente sono impegnati in un viaggio di gruppo negli Usa per sensisbilizzare le numerose comunità siro-libanesi e arabe che vivono oltreoceano sull’emergenza vissuta dai loro correligionari in Siria e Irak. Il banchetto della sera dell’11 settembre in compagnia di ignoranti e cafoni rappresentanti eletti al Congresso é finito con un esodo di massa dei prelati, offesi dalle bestialità proferite dai loro ospiti, ma l’incontro alla Casa Bianca col Presidente Obama ha avuto risultati ancora più sorprendenti.

Di fronte a Patriarchi, Vescovi e Cardinali (vedi la foto in apertura) Obama si é lasciato “scappare” l’ammissione secondo la quale: “Sappiamo bene che Assad e il suo Governo hanno protetto le comunita cristiane della Siria”. Forse il ‘Potus’ non pensava che la sua dichiarazione sarebbe stata registrata e trasmessa, cosa invece che é puntualmente avvenuta. Nella frase, a ulteriore ‘imbarazzo’ di Obama, gli é scappato di chiamare il Governo di Assad come realmente é (un Governo legittimo sostenuto dai voti della stragrande maggioranza dei Siriani) e non col nome di ‘regime’ che nella parlance ipocrita a stelle e strisce dovrebbe squalificarlo.

Prontissima allora la replica di Aram I Keshishian capo della Chiesa Armena, che ha incalzato Barack Hussein: “Allora in questo caso la dovete finire di sostenere i terroristi che cercano di abbattere il suo Governo!

(fonte: http://palaestinafelix.blogspot.it/)

Lettera dal Vicariato Patriarcale presso la Santa Sede

Anche se può sembrare tardi, ma non lo è, dal momento che il Califfo Al-Baghdadi continua imperterrito nella sua folle opera distruttrice della civiltà , la Basilica di Santa Maria in Cosmedin, dopo aver pregato molto per la Siria e l’Iraq, dopo aver monitorato costantemente la situazione tragica in cui versa il Medio Oriente e il silenzio e apatia che fa da contorno, in prossimità della solennità della grande festa della Trasfigurazione e dell’Assunzione, nella speranza che Dio voglia salvare il suo popolo, non ha potuto più tacere, per manifestare la sua riprovazione per tutto quel male che vede. Fermo restando che il cristianesimo è religione di pace e fratellanza, con queste sue parole vuole esprimere al mondo intero che la pace si costruisce, difende e mantiene con il coraggio della verità, che a volte consiste nel correggere il fratello prepotente che è in errore. non vogliamo altri Caino!

Diffondete e aiutateci ad aver risposte!

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Può sembrare tardi per esordire anche noi con una lettera aperta per esprimere la nostra indignazione, per pretendere il rispetto dei diritti dell’uomo e dei cristiani, per pretendere che i cristiani siano messi a parte dei problemi interni all’Islam.
Sarebbe stato tardi se tutti i Governanti del Medio Oriente e dell’Occidente si fossero precipitati in un attimo fulmineo a cancellare anche le sole iniziali di questo califfato sorto dal nulla, e non ve ne fosse stata più menzione.
Sarebbe stato tardi se la città di Mousul fosse ancora popolata dei suoi cittadini cristiani, sciiti, eziditi, kurdi, e di tutte le altre minoranze religiose.
sarebbe stato tardi se le tombe dei profeti Giona, Set e gli altri fossero ancora in piedi a testimoniare fede e storia.
Sarebbe stato tardi se i monasteri e vescovadi non fossero stati occupati, sarebbe stato tardi se all’Onu vi fosse stata una riunione straordinaria per discutere e dirimere queste inaudite pulizie etniche e anacronistiche imposizioni di tasse a motivo della fede.
Sarebbe stato tardi se le crocifissioni e mutilazioni di corpi di cristiani già esanimi si fossero fermate da tempo ormai.
Sarebbe stato tardi se la Siria, l’Iraq, la Libia e tutta la regione limitrofa avessero già eliminato il ricordo di queste orride bandiere nere sulle chiese al posto della croce.
Sarebbe stato tardi se i cristiani di Siria e di Iraq non avessero mai perso le loro case, e non fossero mai stati marchiati come bestie destinate al macello.
Ma mi duole riconoscere e sentire il silenzio assordante che inonda il mondo di vergogna, perchè tardi non è! non è cambiato nulla, ecco perchè, dopo aver molto pregato e monitorato costantemente la situazione, sono a manifestare quella che deve essere l’indignazione di tutti, almeno dei retti di cuore, di coloro che hanno sete di giustizia.
Con questa mia sono a voler sollevare le coscienze dei tiepidi e a dar voce a quanti ora non hanno neanche una pietra sulla quale posare il capo durante la notte da passare per strada, lontano da tutto quello per cui hanno lavorato e sperato, padroni solo della loro fede, che noi da qui dobbiamo sorreggere e difendere. Per questo vi prego, abbiate il coraggio del buon samaritano abbandonando la vigliaccheria di caino.
Chi può faccia qualcosa, almeno rompiamo il silenzio! Coraggio! Cristo è con noi!

P. Mtanious Hadad B.S.

“un vero crimine di guerra”

Gregorio III, è “un vero crimine di guerra” la distruzione delle chiese di Maaloula

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Il Patriarca ha visitato il villaggio di Maaloula, ripreso dall’esercito al fronte islamico al-Nosra. “Ci si è presentato uno spettacolo apocalittico”. L’Occidente assiste “con indifferenza criminale” alla distruzione della Siria.

Beirut (AsiaNews) – La distruzione delle chiese di Maaloula è stata definita “un vero crimine di guerra” dal patriarca di Antiochia dei greco-melchiti cattolici Gregorio III Laham, che domenica ha potuto visitare lo storico villaggio cristiano, riconquistato dall’esercito siriano al Fronte islamico al-Nosra.

“E’ il mistero dell’iniquità che si vede all’opera”, ha detto ancora, non trovando parole abbastanza forti per tradurre i sui sentimenti davanti allo spettacolo di desolazione che gli si è offerto. “E’ la devastazione del Tempio, il mistero dell’iniquità”, ha ripetuto in un colloquio telefonico da Beirut, la sera della sua visita.

Il Patriarca greco-cattolico ha visitato il villaggio insieme con il patriarca greco-ortodosso Youhanna Yazigi e con i rappresentanti del patriarcato siriaco-ortodosso, armeno-ortodosso e siriaco-cattolico, accompagnati da alcuni giornalisti e da uomini della sicurezza. E poco dopo ha anche reso visita al capo di Stato siriano, anch’egli in visita al villaggio.

“Ci si è presentato uno spettacolo apocalittico. Altre chiese sono state distrutte in Siria, ma io non ho mai visto cose così. Ho pianto e ho cercato inutilmente un momento di solitudine per pregare. Sono affranto”, ha detto ancora il prelato.

“Le quattro chiese storiche di Maaloula sono state colpite. La nostra chiesa parrocchiale, dedicata a san Giorgio, è crivellata di colpi. La cupola del convento è lesionata in due punti. Le mura sono sventrate dalle cannonate. Alcune parti del convento rischiano di crollare e debbono essere ricostruite. Le icone sono sparse a terra, sporcate o rubate. Attualmente è del tutto inabitabile”. “Nel convento dei santi Sarkis e Bakhos (nella foto), lo storico altare pagano, convertito in altare cristiano, il solo di tale tipo, è rotto in due”.

Lo stesso spettacolo di devastazione si offre agli sguardi nelle chiese di sant’Elia e santa Tecla, del patriarcato greco-ortodosso.

A giudizio di Gregorio III, la devastazione di Maaloula è “un crimine organizzato” e “un vero crimine di guerra”. La Carta di Londra (1946) definisce crimini di guerra “il saccheggio di beni pubblici o privati, distruzione senza motivo di città e villaggi, o la devastazione non giustificata da esigenze militari”. “Non c’è – dice ancora il Patriarca – alcuna giustificazione militare al vandalismo che c’è stato. Si ha l’impressione che fosse un vandalismo comandato”. E “perché aver fatto delle nostre chiese delle posizioni trincerate?” per tentare di darsi una spiegazione di tutte queste distruzioni.

Con amarezza, Gregorio III accusa il mondo occidentale di essere cieco sulla verità della guerra in Siria. Secondo lui, non si è assolutamente di fronte a una “guerra siriana” o a una “guerra civile”. Certo, c’è una parte del conflitto che oppone i musulmani tra loro, ma non è una guerra islamo-cristiana. E’ “un crimine organizzato”.

Sul piano della sicurezza, la popolazione di Maaloula può sognare di tornare, sostiene il Patriarca, malgrado l’incertezza sulla situazione delle infrastrutture (elettricità, acqua, telefoni). Egli aggiunge che alcuni giovani stanno tornando, per ispezionare le case e studiare la possibilità di rientro.

Ma Gregorio III attira l’attenzione sulla difficoltà che si avrà a “riparare il legame sociale” tra i cristiani di Maaloula e la popolazione musulmana. Alcune famiglie del villaggio si sono schierate con i ribelli islamisti e la ricostruzione della fiducia pone effettivamente dei problemi. Molti giovani non vogliono una riconciliazione superficiale, degli “abbracci ipocriti”.

La Chiesa ha il dovere di impedire che tutta la popolazione musulmana dia assimilata a ciò che alcuni hanno fatto. I cristiani non devono vivere in un ghetto, dice, in sostanza, Gregorio III. A suo avviso il vero complotto è là. Mira a lacerare il tessuto sociale della società siriana, nella quale non c’è mai stata discordia tra islamici e cristiani. E insiste sulla barbarie di comportamenti che, ai suoi occhi, non si spiegano che nella volontà di distruzione della Siria “profonda”.

A sostegno di ciò che sostiene, egli indica l’atroce morte, davanti a testimoni, di un fornaio di Adra, una borgata vicino a Damasco. Lo sventurato è stato gettato, vivo e insieme con i suoi figli nel forno nel quale aveva appena cotto il pane per i combattenti islamisti.

Gregorio III denuncia “l’indifferenza criminale con la quale il mondo occidentale, col falso pretesto della difesa della democrazia, continua ad assistere a questo spettacolo di distruzione. Bisogna assolutamente impedire che il virus dell’odio si diffonda”, conclude, dopo aver ricordato che ancora non si hanno notizie dei sei abitanti di Maaloula rapiti, come dei vescovi greco-ortodosso e siriaco-ortodosso di Aleppo, scomparsi da più di un anno.

(Fonte: http://www.asianews.it)

di Fady Noun

22/04/2014 10:44

Intervista al presidente siriano

Intervista con il presidente della Repubblica Araba Siriana, Dott. Bashar Al-Assad

Testo Integrale dell’Intervista Rilasciata dal Presidente BASHAR AL-ASSAD al quotidiano russo, Izvestia 

  • Il Presidente Bashar al Assad ha affermato che se c’è chi sogna che la Siria possa essere una marionetta dell’occidente, ebbene questo è un sogno che non si avvererà, aggiungendo che la Siria è uno Stato indipendente che combatterà il terrorismo e manterrà i rapporti con i Paesi che vuole, in piena libertà e negli interessi del popolo siriano.
  • Il Presidente, in un’intervista con il quotidiano russo Izvestia,  ha ribadito che coloro i quali la Siria sta affrontando sono in larga misura takfiristi di ideologia qaedista, mentre una minoranza di loro sono fuorilegge, aggiungendo che ovunque colpirà il terrorismo, la Siria contrattaccherà.
  • Il Presidente ha sottolineato che chi parla della collaborazione tra israeliani e terroristi, è la stessa Israele, che più di una volta ha annunciato di curare decine di terroristi nei suoi ospedali.
  • Il Presidente ha affermato che le accuse rivolte alla Siria, riguardo al possesso di armi chimiche, sono completamente politicizzate e si collocano nel contesto dell’avanzata dell’esercito arabo siriano nella lotta ai terroristi.
  • Il Presidente ha chiarito che la posizione politica della Russia ed il suo appoggio alla Siria  è la base che ha contribuito e contribuisce tuttora a ripristinare la sicurezza e a garantire i bisogni primari dei cittadini siriani.

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IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA ARABA SIRIANA, Dott. BASHAR AL ASSAD,

Di seguito il testo letterale dell’intervista rilasciata dal Presidente al quotidiano russo: Izvestia.,

1) La questione più importante è questa: qual è la situazione in Siria e quali sono le aree ancora sotto il controllo dei ribelli?

Risposta: La questione, per quanto ci riguarda, non è quali zone siano ancora sotto il controllo dei terroristi e quali sotto il controllo dell’esercito, poiché colui che stiamo affrontando non è un nemico che occupa il nostro territorio.

Coloro che stiamo affrontando  sono terroristi che entrano in aree o villaggi o nelle periferie di città, e seminano corruzione e distruzione, uccidono i civili innocenti che si ribellano ad essi e sabotano le infrastrutture. L’esercito, le Forze dell’Ordine e la Polizia intervengono per allontanarli ed eliminarli, ma quelli che riescono a scappare si rifugiano in altre zone, pertanto l’essenza di ciò che stiamo facendo è di eliminare i terroristi. Il problema che stiamo affrontando, e che ha causato il perdurare di questi eventi, è l’arrivo di un numero considerevole di terroristi dall’estero, decine di migliaia e oltre, riforniti continuamente di soldi  e armi, ma anche la nostra risposta è costante, ed io ribadisco che non vi è luogo in cui sia stato l’esercito siriano, che non sia riuscito a ripristinare la sicurezza, eliminando i terroristi. Coloro che stiamo affrontando sono in larga misura takfiristi di ideologia qaedista, una minoranza dei quali sono fuorilegge. Per questo motivo non si può parlare di aree controllate da loro o da noi. In qualsiasi luogo colpisca il terrorismo, noi contrattaccheremo.

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2) I mass-media occidentali oggi affermano che questi terroristi combattenti controllano il 40% o persino il 70% del territorio siriano. Qual è la verità?

Risposta: Non c’è esercito al mondo, in nessun Paese,che possa schierarsi su tutto il territorio del Paese. I terroristi sfruttano questo fatto, tentando di accedere in ogni luogo in cui non vi sia l’esercito, muovendosi lungo diverse direzioni, e noi li fronteggiamo da un luogo all’altro, ed ogni località in cui l’esercito entra, viene completamente ripulita dai terroristi. Perciò torno a ripetere che la questione non è nelle aree  controllate dai terroristi, che cambiano di ora in ora, la questione riguarda invece il grande numero di terroristi che provengono dall’estero. Per valutare giustamente la cosa, bisogna piuttosto chiedersi se l’esercito arabo siriano riuscirà  ad avanzare e ad entrare in ogni località in cui vi sono terroristi e ad eliminarli. Io rispondo di sì, con assoluta certezza, perché è ciò che l’esercito continua a fare. Ciò richiederà un tempo maggiore, perché queste guerre non finiscono all’improvviso, ma richiedono  un tempo relativamente lungo e questo di per sé ci costa molto, poiché quando saremo riusciti ad eliminare tutti i terroristi in Siria, avremo pagato un prezzo molto alto.

L’Arabia Saudita guida i takfiristi con la sua ideologia wahhabista e li finanzia.

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IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA ARABA SIRIANA, Dott. BASHAR AL ASSAD

IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA ARABA SIRIANA, Dott. BASHAR AL ASSAD

3) Signor Presidente, Lei ha parlato di combattenti islamisti estremisti takfiristi che entrano in Siria. Si tratta di gruppi sparsi, che combattono qua e là, o sono parte di una superpotenza che cerca di porre fine alla stabilità e alla sicurezza nel Medio Oriente, tra cui la Siria?

Risposta: Entrambe le cose, nel senso che ciò che li accomuna è l’ideologia e le fonti che li finanziano.  La loro è un’ideologia takfirista estremista, seguono con le loro opinioni personaggi particolari come per esempio al Zawahiri, e le fonti di finanziamento sono simili e talvolta identiche. Ciò che li differenzia è il loro lavoro sul territorio. Sono gruppi vari e sparsi, ogni gruppo ha una leadership indipendente e rispondono a ordini indipendenti, ma Lei sa benissimo che chi paga è chi, alla fine, tiene in mano il timone della loro leadership, ossia che è facile guidarli, per i Paesi che li appoggiano ideologicamente e finanziariamente, come per esempio l’Arabia Saudita. Alla fine però, anche se sono vari e sparsi sul territorio, i Paesi che li appoggiano ideologicamente possono guidarli direttamente, mediante messaggi estremisti, o indirettamente, come quando gli dicono, per esempio, che il jihad in Siria è un dovere per i musulmani, e allora vengono in Siria in migliaia a combattere. Anche chi li finanzia, può guidarli come vuole, e paga e arma affinché facciano quello che devono fare, ossia devastare il paese e fare terrorismo. Si figuri quando le due cose si sommano, qualche volta, come per esempio succede con l’Arabia Saudita, che li guida con l’ideologia wahhabita e li finanzia con i suoi soldi.

Chi parla della collaborazione tra Israele e i terroristi, è la stessa Israele, non la Siria. 

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4)  Il Governo Siriano parla di una solida relazione tra Israele e i terroristi. Vorremmo comprendere questa relazione, crediamo che sia voluta perché, come è risaputo, la sola menzione del nome di Israele fa precipitare gli estremisti islamisti in uno stato di isteria e di odio profondo.

Risposta: Allora perché quando li attacchiamo ai confini, Israele si scontra con le nostre truppe per alleviare la pressione su di loro? Perché quando li teniamo in assedio, Israele gli apre le barricate affinché possano passare, riorganizzarsi  e attaccare da un’altra direzione? Perché è intervenuta direttamente attaccando l’esercito arabo siriano più di una volta, nei mesi scorsi?  No, questo è certamente inesatto. Chi parla della collaborazione tra Israele e i terroristi è la stessa Israele, non la Siria. Tant’è che Israele ha annunciato, più di una volta, di curare decine di terroristi nei suoi ospedali.  Se questi gruppi davvero odiano Israele, e il solo menzionarne il nome li fa diventare isterici e pieni d’odio, allora perché, nella storia, questi gruppi terroristici dall’ideologia estremista hanno combattuto l’Unione Sovietica, e stanno combattendo contro l’Egitto e la Siria, mentre per tre decenni non hanno mai mosso una sola operazione conto Israele. E poi, in fondo, chi ha creato  questi gruppi terroristici? Questi terroristici sono stati assoldati e appoggiati dagli Stati Uniti e dall’Occidente, generalmente con finanziamenti sauditi nei primi anni Ottanta, per contrastare l’Unione Sovietica in Afghanistan. Pertanto, com’è possibile che questi gruppi formati dall’Occidente e dall’America, colpire Israele?

Se c’è chi sogna che la Siria diventi una marionetta dell’occidente, ebbene questo è un sogno che non si avvererà.

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5) Signor Presidente, il Suo incontro con noi verrà tradotto in numerose lingue e sarà letto da molti leader mondiali, alcuni dei quali è contro la Siria. Che cosa vorrebbe dire a queste persone?

Risposta: Forse oggi ci troviamo di fronte a molti politici, ma non sono statisti. Alcuni di loro non sanno leggere la storia, da loro non c’è nulla da imparare, alcuni poi non possiedono la benché minima memoria del passato. Questi politici hanno forse imparato le lezioni del passato di 50 anni almeno, hanno letto ciò che hanno fatto i politici che li hanno preceduti, sanno che tutte le guerre sono fallite, a partire dalla guerra in Vietnam fino ad oggi? Hanno imparato che quelle guerre non sono servite a niente, se non a distruggere i Paesi che ne erano coinvolti, e a creare una situazione di instabilità nel Medio Oriente e in altre regioni nel mondo?  Hanno capito che quelle guerre non sono servite a far sì che i popoli della regioni si amassero o si convincessero delle loro politiche? Un’altra cosa vorrei dire a questi politici, ovvero il terrorismo non è la carta vincente che mettete in tasca e che tirate fuori quando e dove volete e la giocate innumerevoli volte! Il terrorismo è simile a uno scorpione che vi punge in qualunque momento, perciò non è possibile che stiate con il terrorismo in Siria e contro il terrorismo in Mali, per esempio. Non potete appoggiare il terrorismo in Cecenia e combatterlo in Afghanistan. E per essere molto preciso, qui mi riferisco  proprio all’Occidente e non a tutti i leader mondiali. Parlo di alcuni leader occidentali che “ hanno voluto che i loro interessi si concretizzassero” , devono ascoltare i popoli della regione e i loro stessi popoli, e non cercare leader “burattini”, sperando che loro siano in grado di realizzare i loro interessi. Forse, in questo modo, la politica occidentale prenderà una direzione più realistica. Se veramente volessi dare un messaggio al mondo, direi che se c’è chi sogna che la Siria possa essere una marionetta dell’occidente, ebbene questo è un sogno che non si avvererà, aggiungendo che la Siria è uno Stato indipendente che combatterà il terrorismo e manterrà i rapporti con i Paesi che vuole, in piena libertà e negli interessi del popolo siriano.

Le accuse sulle armi chimiche sono accuse assolutamente  politicizzate, che vanno collocate nel contesto dell’avanzata dell’esercito nella lotta al terrorismo.

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6) Mercoledì scorso i ribelli hanno accusato il Governo Siriano di utilizzare armi chimiche, alcuni leader occidentali hanno prontamente colto l’occasione di queste accuse. Qual è la risposta della Siria? Permetterete agli ispettori delle Nazioni Unite di accedere all’area per indagare sull’incidente?

Risposta: Quanto affermato dall’amministrazione americana, dall’Occidente e da altri Paesi, è un insulto al senso comune e una mancanza di rispetto alle loro opinioni pubbliche.   Non c’è una sola parte al mondo, si figuri una superpotenza, che muova un’accusa e poi ne dia corso, raccogliendo prove per dimostrarla. L’amministrazione americana ha mosso l’accusa mercoledì, e due giorni dopo ha annunciato che avrebbe cominciato a raccogliere prove – che genere di prove raccoglierà, a una simile distanza temporale? Per quanto concerne l’area di cui parlano,  del fatto che sarebbe sotto il controllo dei ribelli armati, e del fatto che l’esercito arabo siriano avrebbe usato armi chimiche, ebbene quest’area è contigua all’esercito siriano, pertanto come potrebbe qualsiasi Paese colpire con armi chimiche  o con qualsiasi arma di distruzione di massa una località nelle cui immediate vicinanze sono schierate le sue Forze Armate? Ciò sarebbe insensato ed illogico, perciò queste accuse sono assolutamente politicizzate e si collocano nel contesto dell’avanzata dell’esercito siriano contro i terroristi.

Per quanto riguarda invece la commissione d’indagine delle Nazioni Unite, noi siamo stati i primi a richiedere una commissione d’indagine quando i terroristi hanno lanciato un missile contenente gas tossici sulla periferia di Aleppo, nel nord della Siria. Senonché le dichiarazioni degli USA e dell’Occidente, prima di quell’incidente, e per mesi, parlavano del potenziale utilizzo di armi chimiche da parte dello Stato. Ciò ci ha fatti dubitare del fatto che fossero in possesso di informazioni circa l’intenzione dei terroristi di usare queste armi per accusare il governo siriano. Dopo opportune consultazioni con la Russia relativamente a quanto accaduto, abbiamo deciso di richiedere una commissione d’indagine per far luce sull’accaduto, ma gli USA, la Francia e la Gran Bretagna in primo luogo hanno voluto strumentalizzare la questione ai danni della Siria, per indagare su congetture e non su dati di fatto, come stanno facendo adesso, mentre noi l’abbiamo richiesta per indagare su dati di fatto sul territorio e non su dicerie o congetture. Durante le scorse settimane, abbiamo dialogato con i membri della commissione, ed abbiamo posto le basi della collaborazione, la cui linea rossa è la sovranità nazionale, per il resto tutto sarà svolto in piena nostra collaborazione, questo come primo punto.

Come secondo punto, la questione non riguarda soltanto le modalità in cui saranno condotte le indagini, ma anche la modalità in cui saranno interpretati i risultati. Siamo tutti consapevoli del fatto che, invece che essere interpretati oggettivamente, questi risultati potrebbero facilmente essere interpretati in base ai requisiti e alle agende di alcuni grandi Paesi. Per questo motivo ci aspettiamo che, al termine delle indagini, ci sia obiettività nella lettura dei risultati, così come ci aspettiamo che la Russia blocchi qualsiasi interpretazione che serva le politiche americana ed occidentali. La cosa importante è che noi distinguiamo tra le accuse occidentali, basate fondamentalmente su congetture, voci e dicerie, e ciò che abbiamo richiesto, ossia un’indagine basata su prove concrete e dati di fatto.

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7) Recenti dichiarazioni dell’amministrazione  americana e di altri governi occidentali hanno affermato che gli Stati Uniti non hanno escluso un intervento militare in Siria. Alla luce di questo, sembra quindi probabile che gli Stati Uniti si vogliano comportare esattamente come hanno fatto in Iraq, in altre parole, vogliono cercare un pretesto per un intervento militare?

Risposta:  Questa non è la prima volta che si solleva  la possibilità di un intervento militare. Fin dall’inizio, gli Stati Uniti, insieme a Francia e Gran Bretagna, hanno cercato un intervento militare in Siria. Sfortunatamente per loro, gli eventi hanno seguito un corso diverso, spostando l’ago della bilancia contro i loro interessi nel Consiglio di sicurezza, nonostante i loro numerosi e vani tentativi di contrattare con la Russia e la Cina. Nemmeno i risultati negativi emersi in Libia e in Egitto sono stati in loro favore. Tutto ciò ha fatto sì che per loro fosse impossibile convincere i loro elettori e gli elettori del mondo del fatto che stavano perseguendo politiche corrette o di successo. La situazione in Libia è diversa anche da quella dell’Egitto e della Tunisia, e la situazione in Siria, come ho affermato, è a sua volta molto diversa da tutte le altre. Ogni paese ha una propria situazione unica, pertanto  applicare lo stesso scenario su tutta la linea non è più una scelta plausibile. Possono far scoppiare una guerra, ma non sono in grado di prevedere dove si diffonderà o come finirà. Ciò li ha portati a rendersi conto che tutti gli scenari che loro hanno prospettato, alla fine sono fuori del loro controllo. L’immagine chiara a tutti adesso è che ciò che sta succedendo in Siria non è una rivoluzione popolare, né richieste di riforme, bensì terrorismo che cerca di colpire lo stato siriano. Allora cosa diranno ai loro popoli, diranno : “Andiamo in Siria per appoggiare il terrorismo conto lo Stato?”

Le grandi potenze possono far scoppiare le guerre, ma sono in grado di  vincerle. 

Domanda: Cosa dovrà affrontare l’America, se dovesse optare per un intervento militare o una guerra contro la Siria?

Risposta: Quello che ha dovuto affrontare in ogni guerra dai tempi del Vietnam: il fallimento. L’America ha intrapreso molte guerre, ma non è mai stata in grado di realizzare i suoi obiettivi politici con nessun conflitto. Non riuscirà nemmeno a convincere il popolo americano dei benefici di questa guerra, né sarà in grado di convincere le persone in questa regione delle sue politiche e delle sue ideologie. Le grandi potenze possono far scoppiare le guerre, ma sono in grado di  vincerle

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8) Signor Presidente, come è il Suo rapporto con il presidente Vladimir Putin? Vi telefonate? Se è così, di che cosa parlate?

Risposta: Ho un forte rapporto con il presidente Putin, un rapporto che si rifà a molti anni addietro, anche prima della crisi. Ci sentiamo di tanto in tanto, anche se la complessità degli eventi in Siria non può essere discussa al telefono. Il nostro rapporto viene facilitato da funzionari russi e siriani che si scambiano visite, la maggior parte delle quali si svolgono lontano dalle telecamere dei mass media.

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9) Signor Presidente, ha intenzione di visitare la Russia o di invitare il Presidente Putin in Siria?

Risposta:  E ‘possibile, naturalmente, ma le priorità attuali sono di  lavorare per alleviare le violenze in Siria, perché ci sono vittime ogni giorno. Quando le circostanze miglioreranno, la visita sarà necessaria, ma per ora i nostri funzionari stanno gestendo bene questo rapporto.

La Russia difende i principi in cui crede, che ha abbracciato per più di cento anni, i primi dei quali sono l’indipendenza statale e  il principio di non ingerenza negli affari interni. 

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10) Signor Presidente, la Russia si oppone alle politiche dell’UE e degli USA, soprattutto per quanto riguarda la Siria. Che cosa succederebbe  se la Russia adesso decidesse di scendere a compromessi? E’ uno scenario plausibile?

Risposta: Le relazioni russo-americane non devono essere viste attraverso il contesto della sola crisi siriana, ma vanno analizzate in una prospettiva più ampia e generale, di cui la questione siriana è solo una parte. Gli USA pensavano che il crollo dell’Unione Sovietica comportasse la distruzione totale della Russia. Dopo l’insediamento del presidente Putin alla fine degli anni ’90, la Russia ha cominciato a recuperare gradualmente, riconquistando  la sua posizione internazionale, da qui  la guerra fredda è iniziata di nuovo, ma in un modo diverso e più sottile.

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Gli USA hanno insistito su molti fronti, cercando di contenere gli interessi russi in tutto il mondo, nel tentativo di influenzare la mentalità dei russi più vicini all’Occidente, sia in termini di cultura che di aspirazione. Hanno lavorato diligentemente per eliminare il ruolo vitale e potente della Russia su molti fronti, uno dei quali è la Siria. Ci si potrebbe chiedere, come fanno molti cittadini russi, perché la Russia continua a stare dalla parte della Siria. E ‘importante spiegare questa ragione al grande pubblico: la Russia non sta difendendo il presidente Bashar al-Assad e il governo siriano, dal momento che il popolo siriano deve decidere il proprio presidente e il sistema politico più adatto – non è questo il problema. La Russia sta difendendo i principi fondamentali che ha abbracciato per più di cento anni, i primi dei quali sono l’indipendenza e la politica di non ingerenza negli affari interni. La Russia stessa ha subito e continua a subire tali interferenze. Inoltre, la Russia sta difendendo i suoi legittimi interessi nella regione. Alcuni analisti superficiali restringono questi interessi al porto di Tartous, ma in realtà gli interessi della Russia sono molto più rilevanti. Politicamente parlando, quando il terrorismo colpisce la Siria, un paese chiave nella regione, esso ha un impatto diretto sulla stabilità in Medio Oriente, che può in seguito influenzare la Russia. A differenza di molti governi occidentali, la leadership russa comprende pienamente questa realtà. Dal punto di vista sociale e culturale, non dobbiamo dimenticare le decine di migliaia di famiglie siro-russe, che costituiscono un ponte sociale, culturale e umanitario tra i nostri due paesi. Se la Russia dovesse cercare un compromesso, come mi si è chiesto, tutto questo sarebbe potuto succedere uno o due anni fa, quando l’immagine è stata offuscata, anche per alcuni funzionari russi. Oggi, il quadro è cristallino. La Russia che non è scesa a compromessi allora, non dovrebbe farlo ora.

Tutti i contratti firmati con la Russia sono stati onorati. 

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11)  Signor Presidente, ci sono dei negoziati con la Russia per la fornitura di combustibili o materiale militare in Siria? E per quanto riguarda in particolare il contratto delle forniture dei missili S-300, sono stati consegnati?

Risposta: Naturalmente, nessun paese deve dichiarare pubblicamente gli equipaggiamenti e le armi che possiede, o i contratti stipulati a tale riguardo. Si tratta di informazioni strettamente classificate riguardanti le Forze Armate. Basti affermare che tutti i contratti firmati con la Russia sono stati onorati e né la crisi, né la pressione degli Stati Uniti, della UE o dei paesi del Golfo hanno avuto effetto sulla loro attuazione. La Russia continua a fornire la Siria di ciò ch’essa necessita per difendersi e per il suo popolo.

12)  Signor Presidente, di che tipo di aiuto necessita la Siria dalla Russia? Di aiuti economici o di equipaggiamento militare?  Ad esempio, la Siria potrebbe richiedere un prestito dalla Russia?

Risposta: Mancando la sicurezza, è impossibile avere un’economia. L’indebolimento della sicurezza comporta l’indebolimento della situazione economica, e ciò che la Russia sta fornendo per aiutare i siriani a difendersi, entro accordi militari,  porterà a una maggiore sicurezza, che a sua volta contribuirà a facilitare una ripresa economica. In secondo luogo, il sostegno politico della Russia per il nostro diritto di indipendenza e di sovranità ha svolto un ruolo significativo. Molti altri paesi si sono opposti politicamente al popolo siriano e tradotto questa politica mediante numerose decisioni, di cui le più importanti sono state le sanzioni economiche, di cui ancora soffriamo.  La Russia ha fatto l’esatto opposto.  Pertanto, in risposta alla Sua domanda, la posizione politica di sostegno della Russia e il suo impegno per onorare i contratti militari,  senza manifestare alcun cedimento alle pressioni americane,  hanno notevolmente aiutato la nostra economia, malgrado tutte le sanzioni,  che hanno avuto ripercussioni negative sulla vita e sul sostentamento del popolo siriano. Dal punto di vista puramente economico, ci sono diversi accordi tra la Siria e la Russia,  per la fornitura di merci e materiali, e qualunque prestito proveniente da un Paese amico come lo è la Russia, sarebbe vantaggioso per entrambe le parti: per la Russia è una opportunità per le sue industrie nazionali e per le imprese, per espandersi verso nuovi mercati, per la Siria fornisce alcuni dei fondi necessari per ricostruire le nostre infrastrutture e far rifiorire la nostra economia. Ribadisco che la posizione politica della Russia e il suo sostegno in questo ambito sono la base che si ha contribuito e contribuisce tuttora a ripristinare la sicurezza e a garantire il soddisfacimento dei bisogni fondamentali del popolo siriano.

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13) Signor Presidente, possiamo definire la natura di questi contratti? Riguardano carburante o generi alimentari di base?

Risposta:  I cittadini siriani subiscono le sanzioni imposte alla loro alimentazione, alle loro medicine  e al loro fabbisogno di combustibile. Il governo siriano sta lavorando per far sì che tutti i cittadini possano accedere a questi bisogni primari, mediante accordi commerciali con la Russia e altri paesi amici.

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14) Tornando alla situazione in Siria e alla crisi attuale, sappiamo che vengono promulgati in continuazione decreti di amnistia.  Queste amnistie includono anche i ribelli? Ci sono ribelli che, liberati per amnistia, sono passati a combattere dalla parte delle Forze Armate?

Risposta: Sì, questo è effettivamente il caso. Recentemente, c’è stato un notevole cambiamento, soprattutto da quando il quadro è divenuto più chiaro a molti, ossia molti hanno finalmente capito  che ciò che sta accadendo in Siria è puro terrorismo. Molti sono tornati allo Stato, una volta che la legge è stata applicata ai loro casi, molti hanno beneficiato dell’amnistia ed hanno consegnato le armi e sono tornati ad una vita normale.  La svolta più importante  riguarda alcuni gruppi che sono passati dal combattere contro l’esercito al combattere accanto ad esso, si tratta di persone che erano fuorviate da ciò che è stato propagato dai media o che hanno dovuto impugnare le armi sotto minaccia dei terroristi.  E ‘per questo motivo che, fin dall’inizio della crisi, il governo siriano ha lasciato la porta aperta a tutti coloro che volevano tornare, abbandonando la rotta iniziale che avevano imboccato contro il loro paese. Nonostante molte persone in Siria si siano opposte a questa politica,  essa si è rivelata efficace, contribuendo ad alleviare la tensione della crisi.

Alcuni Paesi che si schieravano con fermezza contro la Siria, hanno cominciato a cambiare posizione, mentre altri Paesi hanno ripristinato i rapporti con la Siria.

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15)  Signor Presidente, può fare i nomi dei veri alleati della Siria, e dei suoi nemici? I rapporti della Siria con numerosi stati sono stati interrotti, come il Qatar, l’Arabia Saudita e la Turchia. Chi sta sbagliando, allora? 

Risposta: I paesi che ci sostengono sono ben noti a tutti: a livello internazionale la Russia e la Cina,  a livello regionale l’Iran. Tuttavia, stiamo iniziando a vedere un cambiamento positivo sulla scena internazionale. Alcuni paesi che si schieravano  con fermezza contro la Siria hanno iniziato a cambiare posizione, mentre altri hanno ripristinato i rapporti con noi. Naturalmente, i cambiamenti nelle posizioni di questi paesi non costituiscono un sostegno diretto. Al contrario, ci sono paesi che hanno direttamente mobilitato e sostenuto il terrorismo in Siria. Parlo prevalentemente del Qatar e della Turchia nei primi due anni; il Qatar finanzia, mentre la Turchia fornisce addestramento e supporto logistico ai terroristi. Recentemente, l’Arabia Saudita ha rimpiazzato il Qatar nel ruolo di paese finanziatore. Per essere franco, l’Arabia Saudita è un Paese che non ha niente, eccetto i soldi; e chi non possiede nulla se non denaro, non può costruire una civiltà o sostenerla, ma al contrario. Quindi l’Arabia Saudita attua i suoi piani a seconda di quanto denaro ha a disposizione.

La Turchia è un caso diverso. E’ un peccato che un grande paese come la Turchia venga manipolato da pochi dollari, è un peccato che un paese che ha una posizione strategica e una società liberale venga guidato da uno stato del Golfo dalla mentalità retrograda. Di tutto ciò,  si addossa la responsabilità il primo ministro turco,  e non il popolo turco,  con cui condividiamo grande parte del patrimonio, dei costumi  e delle tradizioni.

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17) Signor Presidente, cosa rende le relazioni russo-siriane così solide? Sono interessi geopolitici? O il fatto che entrambi i Paesi condividono la lotta contro il terrorismo?

Risposta: Più di un fattore condiviso rende le relazioni tra la Siria e la Russia solide fino a questo punto. Il primo è che la Russia ha sofferto l’occupazione durante la seconda guerra mondiale e la Siria è stato occupata più di una volta. In secondo luogo, a partire dall’epoca sovietica, la Russia ha sofferto di continui e ripetuti tentativi  di ingerenza straniera nei suoi affari interni, e questo è anche il caso della Siria.

In terzo luogo, ma non meno significativo, vi è il terrorismo. In Siria, si capisce bene che cosa significa quando estremisti dalla Cecenia uccidono civili innocenti, che cosa significa tenere sotto assedio i bambini e gli insegnanti di Beslan o detenere persone innocenti ostaggi nel teatro di Mosca. Allo stesso modo, il popolo russo capisce bene quando in Siria parliamo dello stesso terrorismo, perché l’ha subito. Perciò, quando un responsabile occidentale dice che ci sono terroristi cattivi e terroristi moderati, è impensabile che i cittadini russi credano a un simile discorso.

Oltre a ciò, vi sono anche i legami delle famiglie siriane-russe che ho menzionato prima, che non si sarebbero sviluppate senza caratteristiche culturali, sociali e intellettuali comuni, così come anche gli interessi geopolitici menzionati in precedenza. La Russia, a differenza dei Paesi europei e dell’Occidente, è ben consapevole delle conseguenze della destabilizzazione della Siria e della regione e dell’effetto che questo avrà sulla diffusione inesorabile del terrorismo. Tutti questi fattori insieme plasmano la posizione politica di un grande paese come la Russia. La sua posizione non è fondata su uno o due elementi, ma piuttosto su un accumulo  storico, culturale e ideologico.

Ci aspettiamo che la conferenza di Ginevra cominci facendo pressione sui paesi che sostengono il terrorismo in Siria, per fermare il contrabbando di armi e il flusso di terroristi stranieri nel paese.

18) Signor Presidente, cosa accadrà alla Conferenza Ginevra 2, cosa si aspetta da questa conferenza?

Risposta: L’obiettivo della conferenza di Ginevra è quello di sostenere il processo politico e di facilitare una soluzione politica alla crisi. Tuttavia, ciò non può essere realizzato prima di arrestare l’appoggio straniero al terrorismo. Ci aspettiamo che la conferenza di Ginevra cominci facendo pressione sui paesi che sostengono il terrorismo in Siria, per fermare il contrabbando di armi e il flusso di terroristi stranieri nel paese. Quando questo avverrà, sarà facile intraprendere percorsi politici definiti, il primo dei quali sarà un dialogo tra le parti siriane per  discutere del futuro del Paese, della Costituzione, delle leggi, e così via.

Intervistatore: Grazie per la Sua sincerità e per aver parlato con trasparenza e franchezza  in questo incontro.  

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Tradotto dall’Arabo a Cura di F_Y

per http://www.Tg24Siria.com & http://www.SyrianFreePress.net

Intervista al Patriarca Younan

Patriarca Younan: «Noi cristiani siriani, venduti dall’Occidente per il petrolio»

san-Giorgio

Youssef III Younan, patriarca dei siro-cattolici.

 (Milano) – I cristiani siriani «sono stati traditi e venduti dall’Occidente», attacca il patriarca siro-cattolico Youssef III Younan raggiunto telefonicamente da Terrasanta.net nella sede patriarcale di Beirut. Nei giorni in cui si discute di un intervento militare, il patriarca critica ancora una volta «la politica cinica e machiavellica» delle potenze che in questi due anni e mezzo hanno armato i ribelli, salvo poi rendersi conto che non può esserci una soluzione militare alla crisi.

Patriarca Younan, nei giorni scorsi un altro dei vostri sacerdoti è stato ferito a Damasco. Che cosa si sa sulle sue condizioni?
Si tratta di padre Amer Qassar. Ha 34 anni ed è stato ordinato sacerdote della diocesi di Damasco nel 2003. È parroco della nostra chiesa di Qatanah, nel sud della capitale. Lo scorso mercoledì 21 agosto intorno alle 18 stava andando alla chiesa di Nostra Signora di Fatima, nel centro di Damasco, quando una bomba è esplosa a pochi metri da lui, ferendolo gravemente al volto, allo stomaco e alle gambe. È stato sotto i ferri per ore e, da quanto mi ha detto oggi (ieri – ndr) suo fratello, grazie a Dio sta un po’ meglio, ma non può parlare. Preghiamo per la sua guarigione.

Gli Stati Uniti e la Francia stanno pensando di intervenire militarmente. Lei che ne pensa?
Invece di aiutare le varie parti in conflitto a trovare vie per la riconciliazione, avviare il dialogo per delle riforme basate su un sistema pluralista di governo, queste potenze fino ad oggi hanno armato i ribelli, incitato alla violenza e avvelenato ancora di più le relazioni fra sunniti e sciiti. L’Occidente pensa che con i sunniti al governo la democrazia rimpiazzerà la dittatura, ma questa è una grande illusione: cambiare il regime con la forza, senza dare sicurezza ai partiti d’ispirazione laica, scatenerà un conflitto peggiore che in Iraq.

Lei ha additato spesso l’ambiguità dell’Occidente verso le monarchie del Golfo. Ritiene ancora questi Paesi corresponsabili della guerra in Siria?
Certamente, perché siamo delusi dalla politica cinica, machiavellica di questi Paesi e dell’Occidente: Francia, Gran Bretagna, Stati Uniti… non vedono che il petrolio e dimenticano i loro principi. Sono più di due anni che, insieme alla Turchia, vanno dicendo che il regime cadrà: questa è la più grande bugia raccontata alle rispettive opinioni pubbliche o il peggiore errore di calcolo che sia stato fatto negli ultimi dieci anni. Il regime è ancora lì, il Paese è distrutto e più di 100 mila persone sono morte. Noi cristiani siamo stati traditi e venduti per il petrolio. L’Occidente sostiene nel nome della democrazia dei regimi che non hanno niente di democratico: Qatar e Arabia Saudita sono fra i Paesi più retrogradi del mondo. I loro capi vengono ricevuti nei palazzi occidentali quali eroi di democrazia, di pluralismo politico e di tolleranza!

Perché l’escalation di violenza contro i cristiani?
Tutta la popolazione soffre, ma i cristiani in particolare. Sono vittime dell’odio di una comunità che pensa di difendere la causa di Dio anche con la forza. Due mesi fa un altro nostro sacerdote, François Mourad, è stato ucciso nel convento di Ghassanieh, nel nord Ovest della Siria, al confine con la Turchia, dai terroristi di Jabhat Al-Nusrah. Un’altra strage di una ventina di cristiani è avvenuta una decina di giorni fa a ovest di Homs.

 

di Manuela Borraccino | 26 agosto 2013

(Fonte: www.terrasanta.net)

La democrazia si costruisce con la pace

Gregorio III: La democrazia si costruisce con la pace. L’attacco Usa è un atto criminale

Il Patriarca cattolico di Antiochia invita i Paesi occidentali ad ascoltare l’appello del papa. Un’azione armata distruggerà qualsiasi ipotesi di dialogo e riconciliazione futura. I cristiani verranno relegati in un ghetto. Senza di loro non può esistere un islam moderato. La scomparsa dei cristiani è un pericolo per tutto l’occidente e per il mondo arabo.

san-Giorgio

Beirut (AsiaNews) – “Ascoltiamo l’appello del Papa per la pace in Siria. Se i Paesi occidentali vogliono creare una vera democrazia devono costruirla con la riconciliazione, con il dialogo fra cristiani e musulmani, non con le armi. L’attacco pianificato dagli Stati Uniti è un atto criminale, che mieterà altre vittime, oltre alle migliaia di questi due anni di guerra. Ciò farà crollare la fiducia del mondo arabo verso il mondo occidentale”. È quanto afferma ad AsiaNews Gregorio III Laham, patriarca greco-cattolico di Antiochia, di tutto l’Oriente, di Alessandria e di Gerusalemme dei Melchiti. L’appello giunge a poche ore dalle voci di un attacco imminente degli Stati Uniti contro Damasco. L’operazione è appoggiata da altri Paesi: Francia, Gran Bretagna, Turchia e Lega Araba. In questi giorni il prelato ha diffuso in tutte le parrocchie della Siria l’appello pronunciato lo scorso 25 agosto da papa Francesco.

“La voce dei cristiani – afferma il patriarca – è quella del Santo Padre. In questo momento occorre essere pragmatici. La Siria ha bisogno di stabilità e non ha senso un attacco armato contro il governo”.

Gregorio III si domanda: “Quali sono le parti che hanno condotto la Siria a questa linea rossa? Chi ha portato la Siria a questo punto di non ritorno? Chi ha creato questo inferno in cui vive da mesi la popolazione?”. “Ogni giorno – spiega – in Siria entrano estremisti islamici provenienti da tutto il mondo con l’unico intento di uccidere e nessun Paese ha fatto nulla per fermarli, anzi gli Stati Uniti hanno deciso di inviare ancora più armi”. Il prelato sottolinea che l’attacco pianificato dagli Usa colpirà soprattutto la popolazione siriana e non è meno grave dell’uso di armi chimiche.

Secondo il Patriarca, i Paesi occidentali continuano a sostenere un opposizione che non esiste, che non ha alcuna autorità sul campo. “I lavori per la conferenza di Ginevra 2 – sottolinea – sono fermi. La parola dialogo è ormai dimenticata. Per mesi i Paesi occidentali hanno perso tempo a discutere, mentre la gente moriva sotto le bombe di Assad e per gli attacchi degli estremisti islamici di al-Qaeda”.

Gregorio III avverte che una eventuale vittoria degli islamisti darà vita a un Paese diviso in piccole enclavi, confinando i cristiani in un ghetto. “La nostra comunità si riduce ogni giorno. I giovani fuggono, le famiglie abbandonano le loro case e i loro villaggi”. Per il prelato “la scomparsa dei cristiani è un pericolo non solo per la Siria, ma per tutta l’Europa”. “La nostra presenza – afferma – è la condizione essenziale per avere un islam moderato, che esiste grazie ai cristiani. Se noi andiamo via, non potrà esservi in Siria alcuna democrazia. Tale tesi è sostenuta anche dagli stessi musulmani, che temono la follia islamista. In molti affermano che non si può vivere dove non vi sono i cristiani”. (S.C.)

(Fonte: http://www.asianews.it)

Luci sul tornante egiziano

Intervista al Direttore dell’Ufficio Stampa della Chiesa Cattolica in Egitto
Di Robert Cheaib

ROMA, 12 Luglio 2013 (Zenit.org) – Non si sa cosa succederà in Egitto, ma una cosa è sicura: siamo a un bivio cruciale. È come se stessimo all’inizio del secondo atto della cosiddetta «primavera araba», la rivoluzione delle libertà e del rifiuto delle dittature. Siamo stati colpiti dalle immagini che hanno fatto il giro del web del popolo egiziano sceso in piazza con numeri che rasentano l’apocalittico chiedendo le dimissioni di Mohamed Morsi. Alcune fonti autorevoli dell’esercito egiziano hanno definito l’evento «la più grande manifestazione della storia d’Egitto».

Per gettare qualche solco di luce sulla situazione così ingarbugliata e per guardarla dal di dentro, ZENIT ha intervistato Padre Rafic Greiche, Direttore dell’Ufficio Stampa della Chiesa Cattolica in Egitto.

Padre Greiche è anche parroco della chiesa di San Cirillo per i melkiti in Misr Al-Jadida e direttore editoriale della rivista cristiana Hamel Al-Risala, (Il messaggero).

* * *

I pareri sugli avvenimenti delle ultime due settimane sono molteplici e non di rado diametralmente contrastanti. Da uomo di chiesa e da cittadino egiziano, come legge l’attuale scenario che trascina il suo paese?

P. Rafic Greiche:Devo darle ragione. I pareri sono veramente tanti e contrastanti. Ciò che è accaduto in Egitto non è un colpo di stato militare contro il presidente, perché il colpo di stato militare avviene quando alcuni membri dell’esercito prendono iniziativa e si impossessano del potere, acquisendo successivamente il favore popolare. Un fenomeno di questo genere è avvenuto in Egitto il 23 luglio 1952, quando il Movimento degli Officiali Liberi ha fatto un colpo di stato, spodestando il re Farouq e ha avuto il sostegno popolare dando luogo alla cosiddetta rivoluzione del 1952.

Ciò che è avvenuto il 30 giugno 2013 è una rivoluzione popolare massiccia che ha pervaso tutte le regioni egiziane. Trentatre milioni di egiziani di tutte le religioni e le estrazioni, uomini, donne, bambini ed anziani, tutti sono scesi in strada per esprimere la loro rabbia e il loro dissenso contro il governo dei Fratelli Musulmani che ha privato la nazione in un anno di tante risorse e ha impoverito vari settori incluso quello del turismo.

Un mandato che ha indebolito le infrastrutture e ha infiammato i dissidi e le rivalità interreligiose. Il popolo si è trovato con un presidente che fomentava il fuoco della guerra civile e che ha messo in libertà vari terroristi e ha permesso l’ingresso di altri nel paese.

Durante quest’anno di presidenza sono stati uccisi tanti uomini dell’esercito e della polizia. Sono avvenute varie esplosioni nelle riserve petrolifere. È precipitata la sicurezza civile. La sterlina egiziana ha raggiunto i suoi livelli storici più bassi. Ed è subentrata una preoccupante tensione nelle relazioni con vari paesi arabi, occidentali e africani.

Di fronte a un tale risveglio popolare, l’esercito ha dovuto rispondere all’appello della gente per proteggere la nazione. E così l’esercito, la polizia e il popolo sono diventate una mano unica e una realtà unita.

Quali sono state le difficoltà maggiori che i cristiani hanno patito sotto la presidenza di Morsi?

P. Rafic Greiche:I cristiani egiziano assieme ai loro connazionali musulmani moderati hanno patito sotto questo governo dittatoriale. Il livello di povertà e di disoccupazione è salito vertiginosamente. L’ex presidente ha ricevuto varie volte i capi cristiani prendendo anche foto ricordo con loro, ma niente è cambiato sul terreno della realtà, soprattutto per quanto riguarda i diritti civili e le leggi riguardanti i luoghi di culto. Anzi, abbiamo visto un aggravarsi delle discriminazioni, dell’emarginazione e un favoreggiamento delle tensioni interreligiose che ha avuto come triste conseguenza varie chiese incendiate e saccheggiate; tante famiglie cristiane sono state costrette ad abbandonare le loro case e le loro proprietà e un numero preoccupante di ragazze cristiane sono state rapite e costrette ad abbandonare la religione cristiana. Tutto questo è stato coronato con l’attacco degli uomini dei Fratelli Musulmani contro i Sceicchi di Al-Azhar e contro la Cattedrale di san Marco in Abbasiyya.

Ci sono state delle restrizioni che hanno colpito i cattolici in modo particolare?

P. Rafic Greiche:I cattolici sono stati colpiti nell’ambito in cui sono più efficienti ed attivi, ovvero la scuola. I programmi sono stati cambiati ed islamizzati con forza. I Fratelli Musulmani sono diventati una parte dei programmi.

Un altro colpo duro è stato subito dalla Caritas e dalle associazioni caritative e di sviluppo. I loro fondi e gli aiuti che ricevevano dall’estero sono stati congelati dal governo. Stiamo parlando di somme ingenti che in passato venivano divulgate ai poveri senza distinzione di religione o appartenenza. Inoltre, varie religiose cattoliche sono state aggredite da quei fondamentalisti.

Quali sono i vostri timori per la fase imminente?

P. Rafic Greiche:La nostra paura è che il paese scivoli in un circolo vizioso di lotte intestine causate dalla corrente religiosa fondamentalista causando una situazione di instabilità per il popolo egiziano in genere e per i cristiani in particolare.

Ma i cristiani devono difendere i loro diritti come cittadini di pari diritti e doveri. Devono inoltre contribuire alla ricostruzione della nazione. Siamo tutti pieni di fiducia e di speranza che ritorni la calma e tutti possano vivere in libertà e dignità senza discriminazione tra cristiano e musulmano, uomo e donna, o tra classi sociali.

Alcune fazioni che sostengono Morsi manifestano chiedendo il suo ritorno. C’è da aspettarsi una frizione popolare che può degenerare in una guerra civile?

P. Rafic Greiche:È giusto. Ci sono correnti islamiche, specialmente i Fratelli Musulmani e le falange a loro appartenenti che minacciano la pace pubblica e la serenità della società. L’abbiamo visto, ad esempio, il 5 luglio in varie regioni come Al-Gharbiya, Al-Daqhalia, Al-Sharqiya, Al-Manufiya. Ma sono una minoranza. L’85 % del popolo è con l’esercito e assieme alla polizia sono pronti a spegnere gli incendi di dissidio.

Sentiamo parlare molto, forse troppo di «primavera araba», ma anche e giustamente di «autunno arabo». Cosa manca affinché il tempo primaverile diventi più stabile?

P. Rafic Greiche:Alla primavera araba manca la vera libertà del cittadino affinché possa essere pienamente capace di esprimere le sue opinioni, le sue idee, la sua appartenenza religiosa e politica. Le manca la vera democrazia che non emargina nessuna per la sua religione, razza o sesso. Le manca la fiducia in sé, il lavoro assiduo e la programmazione dello sviluppo per permettere un vero risorgimento e un futuro sostenibile per i paesi arabi, specialmente per i poveri. Noi siamo aperti all’Islam politico se si incammina sulle vie della democrazia e della civiltà senza l’utilizzo di sistemi violenti a vari livelli: linguistico, fisico e morale.

Quali sono i suoi auspici per la prossima stagione presidenziale?

P. Rafic Greiche:Spero che i cristiani non si chiudano impauriti dentro le loro chiese e che si inseriscano sempre di più nel lavoro sociale e politico e si aprano a tutti come lievito e partecipino nelle elezioni e si esprimano in libertà.

Spero anche che le Chiese giungano a unità maggiore e che il dialogo ecumenico prosegua anche dopo questo periodo affinché il dialogo non sia occasionato soltanto dalla crisi ma che diventi uno stile abituale e permanente dei cristiani.

(Fonte: Zenith)

Il Papa: «Un cristiano non può essere antisemita»

Il pontefice lo ha detto nella udienza all’International Jewish Committee on Interreligious Consultations

“Per le nostre radici comuni, un cristiano non può essere antisemita”: nel suo primo incontro ufficiale con il Comitato Ebraico Internazionale per le Consultazioni Interreligiose (Ijcic, il partner del Vaticano per il dialogo interreligioso con l’ebraismo mondiale) Papa Francesco è andato dritto al cuore dei rapporti tra cattolici ed ebrei.

Il pontefice si è rivolto alla delegazione di rabbini arrivati da tutti il mondo come a dei “fratelli maggiori” e li ha salutati con la parola shalom, pace in ebraico. Nel suo breve discorso, il pontefice ha evidenziato la lunga relazione di amicizia tra cristiani ed ebrei ed ha incoraggiato a proseguire sulla strada intrapresa.

D’altra parte, Papa Francesco ha una lunga esperienza di rapporti con il mondo ebraico. Nella sua Buenos Aires, aveva stretto un rapporto profondo con il rabbino Abraham Skorka, che ha incontrato in Vaticano qualche giorno fa. Il rapporto era sfociato nella stesura con lui di un libro intervista “Il cielo e la terra”, in cui ha affrontato, pochi mesi prima di diventare Papa, tutti i temi caldi della fede.

“In questi primi mesi del mio ministero ho già avuto modo di incontrare illustri personalità del mondo ebraico, tuttavia questa è la prima occasione di conversare con un gruppo ufficiale di rappresentanti di organizzazioni e comunità ebraiche”, ha ricordato oggi Francesco.

Per il Papa, il “dialogo regolare” tra ebrei e cristiani, che hanno contribuito a rafforzare “la reciproca comprensione ed i legami di amicizia”. “La Chiesa – ha aggiunto – riconosce che ‘gli inizi della sua fede e della sua elezione si trovano già, secondo il mistero divino della salvezza, nei Patriarchi, in Mosè e nei Profeti’. E, quanto al popolo ebraico, il Concilio ricorda l’insegnamento di San Paolo, secondo cui ‘i doni e la chiamata di Dio sono irrevocabili’, ed inoltre condanna fermamente gli odi, le persecuzioni, e tutte le manifestazioni di antisemitismo. Per le nostre radici comuni, un cristiano non può essere antisemita!”

Negli ultimi decenni, i rapporti tra ebrei e cattolici sono diventati sempre più profondi e fecondi, grazie anche a dichiarazioni e gesti importanti da parte dei pontefici precedenti. Questo percorso, ha ricordato Francesco, non è che “la parte più visibile di un vasto movimento che si è realizzato a livello locale un po’ in tutto il mondo”.

Questo rapporto di amicizia è indispensabile per il futuro dell’umanità, che “ha bisogno della nostra comune testimonianza in favore del rispetto della dignità dell’uomo e della donna creati ad immagine e somiglianza di Dio, e in favore della pace che, primariamente, è un dono suo”.

“Papa Francesco è un ottimo amico del popolo ebraico e ci rallegriamo del fatto che continuerà a portare avanti l’opera dei suoi predecessori per approfondire ancora di più i rapporti tra cattolici ed ebrei”, ha commentato il rabbino David Rosen, direttore per gli affari interreligiosi internazionali dell’American Jewish Committee, una della associazioni che compongono l’Ijcic.

Per il presidente dell‘Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, Renzo Gattegna, le parole del Papa “testimoniano il consolidamento di un percorso iniziato 50 anni fa con la pubblicazione della Nostra Aetate e con risultati estremamente significativi nel segno del dialogo e della reciproca comprensione tra i popoli. In un’epoca segnata da tensioni e criticità molto forti le religioni, oggi più che mai, sono chiamate a farsi promotrici di valori e di sfide comuni”.

Alessandro Speciale
Città del Vaticano

(Fonte: http://vaticaninsider.it/)

La libertà religiosa è sempre più negata e combattuta

Il rapporto del Pew Research Center sullla situazione internazionale

Le restrizioni alla libertà religiosa sono in aumento nel mondo: è questo il risultato di uno studio compiuto dal Pew Research Center e reso noto in questi giorni. Le Americhe, l’Africa sub-saharian e la regione dell’Asia sul Pacifico, per non parlare del Medio oriente e dell’Africa del Nord hanno visto nel 2011 un aumento nelle restrizioni alla libertà religiosa. E in Europa, dove le restrizioni governative sembrano essere lievemente diminuite, è cresciuta al contrario l’ostilità sociale nei confronti dei fenomeni religiosi.

Globalmente la percentuale di Paesi che praticano in grado alto o molto alto restrizioni alla libertà religiosa è passata dal 37 per cento del 2010 al 40 per cento del 2011. E dal momento che alcune Nazioni fra quelle più restrittive della libertà religiosa sono anche fra le più popolose, si calcola che circa cinque miliardi e cento milioni di persone (il 74% della popolazione mondiale) vivano in Paesi in cui esistono sia restrizioni alla libertà religiosa che fenomeni di ostilità sociale; e in entrambi i casi i bersagli sono in genere le minoranze.

Egitto, Indonesia, Russia e Pakistan sono quelli che hanno praticato più restrizioni religiose nel 2011. I due Paesi record sono l’Egitto, da una lato, e il Pakistan dall’altro: in entrambi l’alto livello di restrizioni religiose si unisce a un alto tasso di ostilità sociale. Nella graduatoria del Pew Research Center, il Pakistan è quello che ha mostrato il massimo di ostilità sociale al mondo nel corso degli ultimi cinque anni. E ha avuto un “indice” di 10 su 10: il che vuole dire che presenta tutti e 13 i tipi catalogati di ostilità.

I cristiani sono il gruppo religioso che a livello mondiale subisce il maggior numero di persecuzioni. Questo nel 2011 è accaduto in 105 Paesi; con un calo rispetto ai 111 Paesi del calcolo precedente. Al secondo posto ci sono i musulmani, che subiscono diverse forme di maltrattamenti in 101 Paesi; e al terzo gli ebrei, con 69 Paesi. Subito dopo – 42 Paesi – ci sono religioni come i Sikh, i Baha’i e gli zoroastriani. All’ultimo posto i buddisti, la cui vita è difficile in 9 Paesi. Se invece si calcola un periodo di cinque anni, dal 2007 al 2011, i cristiani hanno subito maltrattamenti in 145 Paesi, i musulmani in 129, e gli ebrei in 90.

La grande delusione è stata, ed è ancora, la cosiddetta “primavera araba”, che nonostante gli ottimismi a pioggia si è trasformata rapidamente in un rigido inverno islamico. Prima della “primavera” le restrizioni di carattere religioso, e l’ostilità sociale erano più alte in Medio Oriente e nell’Africa del nord che in ogni altra zona del mondo. Le restrizioni governative sono rimaste, almeno, invariate nel 2011; ma in compenso sono cresciuti e di molto i fenomeni di ostilità sociale (pensiamo alle aggressioni sanguinose contro i Copti in Egitto, per esempio). Il numero dei Paese dell’area considerata in cui si sono avute violenze o fenomeni di ostilità religiosa è raddoppiato dopo la “primavera araba”, passando da cinque a dieci.

Marco Tosatti
Roma

(Fonte: http://vaticaninsider.it/)

Siria, appello della Santa Sede «Far tacere le armi»

Far tacere subito le armi in Siria e promuovere negoziati di pace che ridiano speranza a una popolazione devastata dalle violenze”. Lo chiede la Santa Sede attraverso l’arcivescovo Silvano Maria Tomasi, osservatore permanente all’Onu di Ginevra che ricorda come “i bambini nei campi profughi e nelle aree di conflitto, traumatizzati e forzatamente privati dei loro diritti, soffrano le conseguenze della violenza e reclamino una generosa solidarietà da parte della Comunità Internazionale”. Per il presule, nella Siria sconvolta dal conflitto, soprattutto “i minori non accompagnati meritano particolare attenzione e assistenza per evitare che cadano vittime della tratta e di altre forme di sfruttamento”.

“Sono state distrutte decine di migliaia di vite; un milione e mezzo di persone sono state costrette a fuggire all’estero come rifugiati; più di quattro milioni di persone hanno perso le loro case e civili sono stati presi di mira dai belligeranti nel totale disprezzo del diritto umanitario”, ha elencato alla Radio Vaticana il presule commentando il suo intervento alla 63esima sessione del Consiglio per i diritti umani in corso nella città elvetica. “Questa enorme tragedia nazionale – osserva monsignor Tomasi – rischia di intensificare i conflitti regionali e globali, di trasformare le ambizioni di potere politico in scontri etnici e religiosi di stampo fondamentalista e di distruggere l’intero Paese”.

Per il rappresentante della Santa Sede la strada da seguire non è una intensificazione militare del conflitto armato, ma il dialogo e la riconciliazione” che possono trovare attuazione nella progettata conferenza di pace, “se c’è la volontà politica di sostenerla”. “Un cessate il fuoco immediato – assicura Tomasi – fermerà lo spargimento di sangue, una tragedia inutile e distruttiva che ipoteca il futuro della Siria e del Medio Oriente”.

Ricordando l’appello di pace per la Siria lanciato da Papa Francesco a Pasqua, il nunzio apostolico osserva che “la Santa Sede ha sempre insistito sul fatto che solo negoziati pacifici porteranno a una soluzione accettabile della crisi e che la partecipazione, in un eventuale governo e in posizioni di responsabilità, di rappresentanti di tutti i cittadini può garantire una convivenza pacifica duratura e costruttiva di tutte le comunità che compongono la società siriana”.

Intanto si inseguono voci su una strage di cristiani in un villaggio siriano. La notizia è da confermare.

(Fonte: www.avvenire.it)


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